25 Ottobre Anniversario della nascita e Beatificazione di Don Carlo Gnocchi – Cappellano degli Alpini

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Articolo di Mons. Bazzarri  ( Gennaio 2009)

Don Carlo Gnocchi: Alpino santo

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Quando, o alpini, nei momenti più tragici della ritirata di Russia egli promise ai morenti che sarebbe diventato padre dei loro orfani figli, e quando a guerra finita, egli guardò alla pietà immensa di file e file di ragazzi e di bambini mutilati dalla cieca crudeltà della guerra, la sua anima completamente si rivelò: era un soldato della bontà. Darsi per il bene degli altri, consolare, sorreggere, rieducare, far vivere, questa era la sua milizia, questa era la sua vocazione. Eroi eravate tutti, ma lui, per giunta era un santo.

E qui, o alpini, si rivelò una cosa meravigliosa. Ed è questa: invece di ripudiare don Gnocchi, perché troppo buono, troppo gentile, troppo devoto, voi lo avete ancora di più sentito e chiamato vostro. Non era vostro soltanto perché portava le mostrine verdi e la penna nera sul cappello, ma vostro perché aveva quel cuore. Era vostro perché esprimeva voi stessi, cavava dai vostri animi rudi alle apparenze e incapaci di esprimere i vostri stessi sentimenti e li mostrava in se stesso reali, viventi. Lui era ciò che voi volevate essere, forti e insieme buoni.

Sono le solenni parole rivolte agli alpini dall’arcivescovo di Milano card. Giovanni Battista Montini, poi papa Paolo VI, in occasione della traslazione delle spoglie di don Carlo Gnocchi dal Cimitero Monumentale al Santa Maria Nascente , il Centro Pilota di Milano, il 3 aprile del 1960, che sottolineano efficacemente il legame inscindibile tra don Gnocchi e gli alpini.

Non si può pensare a don Gnocchi senza associarlo agli alpini e non si riesce a trovare una personalità rappresentativa così forte e più adeguata ad esprimere l’anima autentica degli uomini di montagna che si nutrono di rosari e di latte, che hanno la stoffa dell’eroe e che hanno la nobiltà e grandezza dei semplici . Infatti si parla sovente di alpinità a proposito di don Gnocchi, senza riuscire però a dire in che cosa essa consista. La semplice appartenenza, l’essere stato cappellano degli alpini per amore , non basta a far capire la sua affezione per il Corpo degli alpini né a rendere ragione della venerazione che essi nutrono per lui, ancora oggi.

Molti cappellani militari volontari hanno vestito la divisa alpina, ma a nessuno di essi è toccato in sorte di farsi tradizione presso gli alpini di ogni generazione, come è avvenuto invece per don Gnocchi, principe dei cappellani degli alpini. La ragione sta nel fatto che don Carlo ha saputo sposare l’anima degli alpini, incarnandone i valori essenziali ed assimilandone concretamente gli stili di vita.

Basta leggere alcuni brevi brani tratti dai suoi scritti per comprendere questa sorta di incarnazione dello spirito alpino impastato di autentica semplicità, di naturale silenzio, di indomabile coraggio e di impareggiabile forza di sacrificio. In uno di essi afferma che questi alpini sono la mia meditazione giornaliera ed ho imparato ed imparo molte cose da loro. Attuarle però è un’altra cosa .

Invece ha imparato così bene che assumerà la loro stessa mentalità e metterà in atto i medesimi comportamenti anche dopo la guerra, nella vita civile, quando, alle prese con la grande Opera, usava l’identica tenacia e la stessa concretezza per fronteggiare le innumerevoli difficoltà che via via gli si paravano davanti come picchi da scalare. Ecco perché gli alpini di ogni generazione si riconoscono in lui.

C’è un altro legame di perfetta sintonia tra il sentire di don Carlo e quello dei suoi alpini: il modo di vivere la fede. Una spiritualità compartecipata fino in fondo, una religiosità come uno stato, una forma, un modo di vita; sangue vivo e succo vitale. Una disposizione permanente e una quasi istintiva verso l’eterno, che dà sapore e colore a tutte le manifestazioni della loro vita .

Questa essenzialità della fede l’ha assimilata stando a stretto contatto con la vita semplice e profonda degli alpini e con l’esercizio della montagna, una delle sue grandi passioni, che costringe a fare i conti con la nuda roccia, a contare i passi senza indebite quanto fatali forzature, ma anche senza pavide fughe. L’originale e straordinario connubio tra gli alpini e il loro cappellano iniziò sui campi di battaglia della Grecia e continuò poi nella terra inospitale di Russia , come ben riporta la chiusa di Cristo con gli alpini , quando vedendo i suoi alpini abbandonarsi perdutamente sulla neve, facendosi punti oscuri, sempre più piccini e insignificanti in quella pianura sterminata di neve bianca ed insolente, davanti agli occhi allucinati e imploranti coi quali, accasciati per terra, seguivano la colonna dei superstiti dilungarsi funerea e senza speranza verso l’orizzonte lontano e indifferente, verso la Patria, verso la libertà, verso la casa , promise ai giovani morenti di farsi carico dei loro figli.

Solo quando riuscì a raccogliere nella sua Opera i figli di quei Caduti, insieme alle altre vittime della guerra, i mutilatini, poté sentire di aver finalmente pagato quel debito insoluto verso la morte e onorato la cambiale d’impegno verso i suoi giovani. Scriveva infatti, a chiusura di quel capolavoro letterario che è Cristo con gli alpini : L’altra sera, una chiara e fredda sera invernale spazzata dal vento, i miei piccoli, gli orfani dei miei alpini dormivano tutti naufragati nei grandi letti bianchi, della casa austera e serena preparata per loro. Dormivano il loro sonno di seta, popolato di corse spensierate al paesello alpestre e nell’oscurità frusciante di innocenti pensieri e di sogni ridenti, tornai a vedere gli occhi desti e trafiggenti dei miei morti. Lente e stanche le palpebre del sonno scendevano su di essi. I miei morti finalmente riposavano in pace .

Oggi, il binomio don Gnocchi alpini, uomini veri, eroi non di guerra ma di pace, si perpetua nella diversa e convergente azione di solidarietà dei molteplici Centri della Fondazione Don Gnocchi e la nuova generazione di alpini, entrambe impegnate a servire i più bisognosi, tra emergenza e riabilitazione, nel vasto pianeta della solidarietà, ispirandosi sempre all’ alpinità per la quale …anche l’eroico è il loro normale, lo straordinario è ordinario .

Mons. Angelo Bazzari
Presidente della Fondazione Don Carlo Gnocch